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Diario di un’adolescenza rubata – Jane Elliot

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Il Giustiziere degli Angeli

Consiglio alla lettura: uno scioccante romanzo tratto da una storia vera.

In un mondo perfetto certe cose non dovrebbero succedere. Nessuno dovrebbe permettere che accadessero. Ma basta aprire gli occhi per renderci conto in che mondo viviamo… “E’ colpa tua, per questo è successo“, così rivela Allen, patrigno di Sadie, una bambina di 13 anni protagonista di questo romanzo. “E se lo dirai a qualcuno, nessuno ti crederà.

Attraverso un intricato e inflessibile imposizione mentale, Sadie è costretta a subire violenze in silenzio da parte del patrigno. A tredici anni scopre che la vita da adolescente non è semplice come immaginava e che i lieti fine esistono solo nelle favole. Ad un tratto non esistono più persone con cui potersi confidare di questo “segreto sporco” senza avere paura di quello che le potrà fare Allen, perchè se volesse lui potrebbe ucciderla e sua madre Jackie, ubriaca come sta da mattina a sera, probabilmente nemmeno se ne accorgerebbe… E infine un altro male: la scoperta di essere incinta del mostro, la paura, la vergogna, il disprezzo per la vita che porta in grembo e per se stessa.

Sadie è chiusa nello scrigno del suo silenzio, così come Jamie, suo compagno di scuola, che subisce maltrattamenti in casa e nasconde i lividi agli occhi altrui. Sadie ha perso da poco il padre, la madre si è rifugiata nell’alcoll e il patrigno è la sua paura più grande… E come se non bastasse tutto questo è tratto da una storia vera. Una storia raccapricciante e commovente, una storia cruda e dolorosa, da leggere assolutamente. Non si può restare impassibili di fronte a storie come queste e men che meno in silenzio. Il coraggio di questa donna, che dopo anni, racconta la sua storia con un linguaggio semplice e sensibile, ci fa capire come nelle situazioni più dolorose venga un momento di riscatto e redenzione. Un momento in cui ogni donna dice basta alla violenza e decide di prendere in mano la sua vita e di scoprire gli scheletri nell’armadio prima che questi prendano il sopravvento.

Francesco Zanardi scrive a Papa Benedetto XVI

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Mail ricevuta l’11 aprile 2010 da Zanardi a me

Francesco Zanardi 11 apr 2010

Questo il testo spedito ieri che denuncia a Savona l’omertà degli ultimi tre vescovi. Le accuse sono sostenute da prove e registrazioni e ce un’inchiesta in corso, ovviamente la chiesa corre ai ripari, il vescovo combinazione in terra santa e i due sacerdoti, uno in carcere e l’altro scomparso. vi lascio il mio tel se volete contattarmi, sarò a Milano fino a martedi e lunedì parteciperò all’infedele su LA7 e di conseguenza non potrò leggere la posta fino a martedi. 3927030000

A Sua Santità Papa Benedetto XVI

presso la Santa Sede Città del Vaticano

A S.E. Cardinal Tarcisio Bertone

Segretario di stato Città del Vaticano

A S.E. Cardinal Angelo Sodano

Decano del Sacro collegio

A S.E. Monsignor Vittorio Lupi

Vescovo di Savona

A S.E. Monsignor Domenico Calcagno

Segretario dell’APSA

A S.E. Monsignor Dante Lanfranconi

Vescovo di Cremona

E per conoscenza;

Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Al parlamento italiano

Alla commissione per i Diritti Umani presso l’Europarlamento

Ai magistrati interessati al caso Giovanni Battista Ferro e Alessandra Coccoli

Agli organi di informazione nazionali e internazionali

Savona 05/04/2010

Mitt. Francesco Zanardi

Vittima di un Sacerdote pedofilo.

Oggetto: Grave denuncia di pedofilia a Savona.

Mi rivolgo all’attenzione di Sua Santità Benedetto XVI e alle persone in epigrafe, dopo avere colto i suoi ripetuti appelli di denuncia dei casi di pedofilia avvenuti all’interno della Chiesa da parte di sacerdoti indegni di tale nome e di tale missione.

Io tristemente posso testimoniare la mia personale storia datata più di 25 anni, nella Diocesi di Savona-Noli e che malgrado le mie ripetute dolorose denunce ai vertici ecclesiastici, non ha portato alla mia persona alcun tipo di sollievo, conforto o sostegno da parte dei Vescovi che hanno retto la Diocesi e non hanno volutamente affrontato e continuano a non affrontare la causa del mio grande disagio. Queste atroci esperienze di abusi hanno leso in modo irreparabile la mia persona, la mia anima oltre che come vittima delle atrocità anche come vittima nell’ambito professionale.

Riassumo brevemente la mia terribile storia:

durante il mandato a Savona di Monsignor Dante Lanfranconi vi furono due casi di sacerdoti pedofili che però non vennero pubblicizzati sui media, in ossequio alla barbara prassi dell’insabbiamento da parte dei loro superiori: i due Sacerdoti sono Don Giorgio Barbacini (poi indagato e successivamente condannato a soli 3 anni e sei mesi e di cui non si hanno più tracce) e Don Nello Giraudo (mio carnefice, attualmente indagato per pedofilia su mia denuncia alla magistratura in data 9/7/08, da pochi mesi in aspettativa).

A questi due personaggi, abbondamente chiacchierati per i loro atteggiamenti e per la loro inclinazione, Monsignor Dante Lanfranconi, permise di aprire due comunità per minori in difficoltà, dentro le quali, al riparo da sguardi indiscreti, diedero sfogo ai loro più bestiali istinti.

Le violenze subite da me, fino dall’età di 12 anni, sono precedenti all’apertura delle comunità e già a conoscenza della Chiesa, che, anche in questo caso, nulla fece per fare cessare queste pratiche atroci e contronatura nei confronti di minori.

Io venni violentato per diversi anni da Don Nello Giraudo, già trasferito a Spotorno da Valleggia, trenta anni fa, dove insegnava religione ai bambini, ufficialmente per motivi mai chiariti.

La cosa più triste è che i tre Vescovi, e in particolare l’attuale Mons. Lupi, ai quali ho più volte ho comunicato sia a voce che per scritto lo svolgersi delle atrocità che questo Sacerdote da anni compie, non hanno mai denunciato nulla alla autorità giudiziaria, né hanno mai preso provvedimenti nei confronti di questo sacerdote.

La Chiesa dimostri ora la sua coerenza con le parole del Santo Padre, assumendosi le proprie responsabilità. Risarcisca e sostenga, per quanto sia possibile e in maniera adeguata, le persone di cui questi preti hanno abusato, e prenda provvedimenti nei confronti dei Vescovi che hanno insabbiato e continuano a coprire queste Atrocità, eseguendo alla lettera il volere del Santo Padre.

Per quanto mi compete dichiaro sin da oggi di destinare il risarcimento alle associazioni delle vittime della pedofilia e a protezione dell’infanzia.

Cordialmente Zanardi Francesco.

Don Giacomoni

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Don Giacomoni

“Se non ci state, vi sbatto fuori”. Secondo l’accusa erano queste le minacce rivolte da un sacerdote di 81 anni a diversi ospiti dell’Arcobaleno, a Villamarina, frazione di Cesenatico. Don Giuseppe Giacomoni aveva fondato quest’associazione, la presiedeva e pare la gestisse con fini tutt’altro che umanitari. Nel suo mirino ci sarebbero almeno cinque ospiti della struttura, fra cui una donna, che avrebbe costretto a prostituirsi dietro quel ricatto. Chi si rifiutava veniva espulso, si doveva cercare un’altra sistemazione, non facile da trovare, tantopiù che lo stesso sacerdote offriva a polizia e carabinieri referenze negative.

“L’Arcobaleno – spiega Oscar Ghetti, capo della Squadra Mobile della Questura di Forlì – ospita persone indigenti: italiani e stranieri, anche minori; donne che hanno bisogno di assistenza, detenuti agli arresti domiciliari. È accreditata a livello regionale, anche al Tribunale per i minorenni di Bologna”. Gli inquirenti hanno prove inequivocabili sul caso di un ragazzo di 16 anni che dall’ottobre dell’anno scorso all’agosto di quest’anno era sistematicamente sottoposto agli abusi sessuali del prete e del “commendator Roberto”, al secolo Giuseppe Farnedi, 62 anni. È il titolare del ristorante La Scogliera, a Pineta Zadina, uno dei locali più noti della riviera di Cesenatico. L’adolescente è stato affidato a un’altra comunità.

Parroco supplente a Ruffio, frazione di Cesena, Don Giacomoni è stato arrestato per violenza sessuale, induzione e sfruttamento della prostituzione (anche minorile), mentre il commendator Farnedi deve rispondere di violenza sessuale ai danni di minore. In manette anche un romeno di 25 anni, Dan Joan Cilean, per concorso in sfruttamento della prostituzione: era incaricato di trovare clienti per prestazioni sessuali degli ospiti al prezzo tra i 100 e i 200 euro, consumate a Gatteo Mare, al sesto piano di uno dei palazzi di proprietà dell’Arcobaleno.

(da Il Tempo, 12-10-06)

16.03.2008 – L’INCHIESTA INDAGINI CONCLUSE, SI VA VERSO IL RINVIO A GIUDIZIO. FARNEDI PATTEGGERA?

Don Giacomoni si difende: «Non sono un pedofilo» INCHIESTA CHIUSA, con una ‘confessione’, ininfluente però ai fini delle indagini: «Sono omosessuale, non un pedofilo». Queste le parole di don Giuseppe Giacomoni, l’81enne sacerdote fondatore della casa alloggio per immigrati, nonché associazione socio caritativa, ‘Arcobaleno’ di Gatteo Mare. Il prelato fu arrestato nel dicembre del 2006 con l’accusa di aver violentato un 15enne immigrato di cui era il tutore affidatario. Il parroco è stato interrogato dal sostituto procuratore della Repubblica di Forlì Fabio Di Vizio – ora titolare dell’inchiesta, prima affidata alla collega Alessandra Serra – poco prima che il magistrato sigillasse definitivamente le indagini.

ORA SI ATTENDE solo la richiesta di rinvio a giudizio, che avverrà dopo che i legali della difesa avranno fatto le eventuali controrichieste alle conclusioni della Procura. Il sacerdote si dichiara innocente e convinto di smontare le accuse in aula. Storia diversa per Giuseppe Farnedi, 62 anni, titolare del ristorante ‘La Scogliera’, che quasi certamente sceglierà il rito abbreviato e il patteggiamento. Nell’indagine venne arrestato anche Dan Joan Cilean, rumeno di 25 anni.

Cesena, data 22.06.2007, orario 10:39.

CESENATICO – Pedofilia, chiesto rito abbreviato per don Giacomoni

CESENATICO – Giancarlo Savoia, avvocato difensore di don Giuseppe Giacomoni, il sacerdote di Cesenatico arrestato lo scorso 10 ottobre con l’accusa di pedofilia e sfruttamento della prostituzione ed ora ai domiciliari, ha chiesto giovedì mattina davanti al Gip Rita Chierici il rito abbreviato. Vincenzo Gallo, che assiste il rumeno Dan Joan Cilean, accusato in concorso, ha chiesto il proscioglimento da ogni ipotesi d’accusa. Assente il terzo imputato, Giuseppe Farnedi.

Don Giuseppe Giacomoni, che ha gestito la comunità ”Arcobaleno” di Villamarina” è ritenuto come responsabile della creazione del giro di prostituzione minorile. Difeso dall’avvocato Giancarlo Savoia ha sempre respinto le accuse. Secondo la magistratura chi obbediva alle richieste a sfondo sessuale avrebbe ricevuto maggiori attenzioni all’interno della comunità.

Il 26enne Dan Joan Cilean aveva conosciuto alcuni anni fa don Giacomoni nella struttura ”Arcobaleno” dove ci finì per reati contro il patrimonio. Difeso dall’avvocato Vincenzo Gallo, è ritenuto il braccio destro del sacerdote, con il capo d’imputazione di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La difesa ha chiesto il proscioglimento da ogni capo d’accusa.

Il ”commendator” Giuseppe Farnedi, noto albergatore e ristoratore, difeso dall’avvocato Roberto Roccari, è accusato di aver giovato di un rapporto sessuale a pagamento con un minore potrebbe chiedere il patteggiamento. La decisione verrà presa il prossimo 2 ottobre.

Chiesto il rito abbreviato anche per la 55enne Denise Sansoni, coordinatrice del consultorio familiare di Cesenatico, colpevole di non aver fornito delle informazioni riservate a don Giacomoni.

Prostituzione e pedofilia, otto anni a don Giacomoni

FORLI’ – Otto anni di reclusione e una provvisionale di 140mila euro. E’ la condanna inflitta dal gip di Forlì, Rita Chierici, a don Giuseppe Giacomoni, il sacerdote 82enne titolare dell’associazione ”Arcobaleno” arrestato nell’ottobre del 2006 con l’accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Assolta la 55enne Denise Sansoni, coordinatrice del consultorio familiare di Cesenatico. All’estero il rumeno Dan Joan Cilean, braccio destro di don Giacomoni.

Il 26enne di nazionalità rumena è accusato in concorso. Il rumeno aveva conosciuto alcuni anni fa don Giacomoni nella struttura ”Arcobaleno” dove ci finì per reati contro il patrimonio. Difeso dall’avvocato Vincenzo Gallo, è ritenuto il braccio destro del sacerdote, con il capo d’imputazione di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La difesa aveva chiesto il proscioglimento da ogni capo d’accusa tramite il rito abbreviato. Ora però è irreperibile all’estero. Si andrà all’udienza preliminare.

Non è ancora stata decisa la posizione del ”commendator” Giuseppe Farnedi, noto albergatore e ristoratore, difeso dall’avvocato Roberto Roccari, accusato di aver giovato di un rapporto sessuale a pagamento con un minore. La sentenza è attesa per il nove ottobre.

Per don Giacomoni, che ha cambiato avvocati affidandosi a Menotto Zauli e da Luigi Caravella del foro di Foggia, era stato chiesto il rito abbreviato, in modo tale da avere uno sconto di un terzo della pena. Il pubblico ministero, Fabio Di Vizio, aveva chiesto una condanna a sei anni e otto mesi di reclusione, mentre il gip Chierici lo ha condannato a otto anni. Le provvisionali, per un complessivo di 140mila euro, devono essere pagate subito.

Era stato chiesto il rito abbreviato anche per la 55enne Denise Sansoni, coordinatrice del consultorio familiare di Cesenatico, assistita dall’avvocato Marco Martines, colpevole di aver fornito delle informazioni riservate a don Giacomoni. La donna è stata assolta.

18/2/09

22:45

Pedofilia, abusò di due giovani, 6 anni e 8 mesi a parroco Giuseppe Giacomoni

Sconto di pena per don Giuseppe Giacomoni, il parroco accusato di pedofilia per alcuni abusi sessuali ai danni di un minorenne bulgaro e di un albanese di 20 anni.

La Corte d’Appello di Bologna ha ribadito la condanna, con uno sconto di un anno e quattro mesi sugli otto previsti dalla sentenza di primo grado (con il rito abbreviato) sancita dal tribunale di Forlì il 9 ottobre del 2007.

Il religioso 83enne, fondatore della casa alloggio per immigrati ‘Arcobalenò di Gatteo Mare, in provincia di Forlì, è stato condannato a sei anni e otto mesi di reclusione.

Agr

Abusi Asilo VALLO DELLA LUCANIA

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Fonte: Cilentando Press

Il 29 maggio 2006 i genitori di alcuni bambini, che frequentavano l’asilo “Paolo VI” di Vallo della Lucania, denunciano in Procura casi di violenza sessuale sui loro bambini. Sotto accusa finisce una suora peruviana di 23 anni, suor Soledad, che opera nell’asilo.

Il 17 giugno Suor Soledad viene arrestata per evitare che la suora fugga all’estero.

Il 21 giugno il giudice interroga la suora per le indagini preliminari.

Il 23 giugno alla suora sono concessi gli arresti domiciliari presso la casa romana della congregazione delle Ancelle di S.Teresa del Gesù Bambino

Il 22 settembre vengono sentiti in sede di incidente probatorio i bambini e per evitare dei traumi il Tribunale viene trasformato in asilo.

Il 13 ottobre scatta un nuovo filone dell’inchiesta, teso ad appurare il coinvolgimento di alcune persone, appartenenti alla categoria delle persone “per bene” di Vallo della Lucania, in un giro pedo-pornografico.

Ad oggi la Corte di Cassazione ha confermato la decisione assunta dal giudice del Tribunale del Riesame che aveva concesso gli arresti domiciliari alla suora.

I giudici della Cassazione osservano che il contenuto delle dichiarazioni dei bambini e i modi di rappresentarle, anche mediante la simulazione dei gesti compiuti appaiono indicativi della partecipazione ad un vissuto effettivo, inoltre tra gli altri elementi concorrenti atti a far ipotizzare il reato di pedofilia ci sarebbero anche i fenomeni di disagio psicologico rilevati in alcuni bambini e infiammazioni degli organi genitali e anali degli stessi. “Tutto questo” serve solo a concedere gli arresti domiciliari alla suora?….a voi le considerazioni.

Questa è la situazione ad oggi e come in ogni brutta vicenda di violenza sessuale c’è sempre chi si nasconde dietro una maschera, una maschera che nasconde il mostro, la bestia….basta un abito da suora, un camice bianco, un vestito da prete, un lavoro “per bene”, un vestito da padre premuroso o da nonno, da mamma, da zio, per nascondere quello che siamo veramente?….Oggi si!! Giudichiamo e veniamo giudicati per quello che sembriamo e non per quello che siamo e non vediamo la verità.

Segue un’esperienza personale dolorosa resa pubblica per diffondere conoscenza sul fenomeno della pedofilia e lanciare, senza allarmismi, un segnale alle mamme che spesso ne ignorano i segnali e le modalita’. Un articolo che ha sollevato polemiche e ha visto gli interventi di Livia Pomodoro ed Ernesto Caffo.

Martedí 20.06.2006 09:50 Libero/ Affari Italiani

Pedofilia / Salerno – Novizia accusata di abusi su minori

Finisce in manette il noviziato di Soledad, una 23enne peruviana arrestata a Roma su ordine della Procura di Vallo della Lucania (Sa) con un’accusa pesante: violenza carnale su minori. La ragazza, che aspirava ad entrare nell’ordine di Santa Teresa del Bambino Gesù e faceva la maestra in un asilo gestito dalla sua congregazione nella città cilentana, avrebbe compiuto abusi sessuali sui piccoli a lei affidati. E, se prima si sarebbe trattato solo di voci e sospetti, in seguito la vicenda è diventata sempre più pesante. Fino a quando non è arrivata la denuncia da parte della madre di una bambina di quattro anni. Da cui l’intervento della magistratura.

La novizia è stata arrestata a Roma, poco prima che lasciasse l’Italia. La vicenda è iniziata quando, mesi fa, una madre di una piccola di quattro anni, che frequenta l’asilo gestito dalle suore di Santa Teresa a Vallo, ha denunciato Soledad di abusi sessuali commessi a scuola. L’aspirante religiosa nel frattempo, dopo cinque anni passati in Italia, aveva lasciato l’istituto campano e si era trasferita a Roma dove la congregazione le ha ordinato di restare in loco in attesa degli sviluppi delle indagini.Il vescovo di Vallo della Lucania, Giuseppe Rocco Favale, intervistato da Affari, dichiara: “Sono esterrefatto e dispiaciuto”. Poi aggiunge un invito alla prudenza: “Sono cose delicate, e quindi bisogna evitare giudizi affrettati”. Ma su una cosa è chiaro: “Comunque, se ha sbagliato è giusto che paghi”.L’istituto è quello delle Piccole Ancelle, a Vallo chiamato di Santa Teresa. E’ un asilo privato frequentato dalla ‘Vallo bene’, impegnato nel sociale con progetti anche di adozioni a distanza in America Latina. E sempre a Vallo, secondo quanto risulta ad Affari, la gente è disorientata: gira infatti voce che i piccoli sarebbero stati sentiti dai magistrati, dopo i primi sospetti dei genitori per strani arrossamenti sulla pelle dei figli. E i piccoli avrebbero parlato di questa novizia troppo ‘premurosa’ che si sarebbe avvicinata loro iniziando a palpeggiarli.

Dal Quotidiano Il Mattino:

Lettera di una mamma di Vallo della Lucania inviata al quotidiano Il Mattino :  di ANTONIO MANZO

«Sono la mamma di una bimba di cinque anni che porta sulla sua carne i segni della violenza subìta…». È la drammatica lettera di una mamma di Vallo della Lucania, Rita Pellegrino che ieri pomeriggio arriva nella nostra redazione.

La figlioletta di cinque anni sarebbe stata violentata da suor Soledad, la suora peruviana agli arresti con la terribile accusa di aver violentato ventisette bambini tra le mura dell’asilo Paolo VI di Vallo della Lucania. L’accusa è terribile: la Chiesa locale è in silenzio. Nessuna parola di conforto, anzi perfino accuse di «isterismi familiari» nell’incredibile storia di ventisette bambini vittime degli abusi sessuali che avrebbe compiuto una suora peruviana. Bambini vittime – ventisette – che insieme alle loro famiglie, finora in un dignitoso silenzio, finiscono per diventare fantasmi che agitano la quiete troppo sospetta di una cittadina del Sud. Papa Ratzinger a Roma condanna i religiosi pedofili, a Vallo nessuno ne vuole più parlare. Nessuna forma di vicinanza e solidarietà ai bambini coinvolti e alle loro famiglie, atteggiamenti «pilateschi» addebitati ad un vescovo capace solo di «poche e scarne dichiarazioni ufficiali» e «silenzi assordanti». Ora basta, il dramma delle famiglie vittime delle storie di abusi sessuali compiuti da una suora peruviana – secondo l’accusa del procuratore della Repubblica di Vallo della Lucania che ha retto fino in Cassazione – esplode in pubblico. È la lettera, drammatica, della mamma di una bambina vittima.

È l’appello a Benedetto XVI che non ha avuto timore a denunciare la gravità degli atti compiuti da uomini di Chiesa, siano essi sacerdoti o suore, con abusi sessuali in danno di minori. Ha parlato ai vescovi irlandesi ma è come se quelle parole fossero state pronunciate anche per la drammatica vicenda di Vallo della Lucania: un asilo, una suora, un’accusa di violenza sessuale in danno di ventisette bambini, le accuse di favoreggiamento per le conseorelle della suora arrestata. Sembra che avessero progettato di farla partire per il Perù pochi giorni prima che arrivassero le manette. Prima di decidere di spedire la lettera al nostrogiornale, Rita Pellegrino, ci ha pensato bene ed ha riflettuto. Perchè quando ieri ha spedito la lettera via fax, erano passati già quindici giorni in attesa di una prima risposta da parte del vescovo di Vallo, monsignor Rocco Favale, e poi da papa Benedetto XVI protagonista di una dura denuncia sui responsabili di abusi sessuali sui minori, specie se commessi da uomini di Chiesa, preti o suore.

Rita Pellegrino è la mamma di una delle bambine vittima delle violenze sessuali della suora peruviana nell’asilo di Vallo della Lucania, tuttora agli arresti domiciliari a Roma nella casa generalizia dell’ordine delle suore delle ancelle di santa Teresa del Bambin Gesù. Suor Soledad, venticinque anni, è accusata di aver compiuto abusi sessuali in danno di ventisette bambini della scuola materna Paolo VI di Vallo della Lucania. Su di lei pesa come un macigno l’accusa della procura della Repubblica di Vallo della Lucania intenzionata ad ampliare il giro delle indagini fino agli ultimi accertamenti compiuti dal Ris dei carabinieri per un presunto giro di pedofilia collegato proprio alla suora peruviana.

L’accusa per la suora ha sostenuto già il vaglio del tribunale del Riesame e successivamente della Cassazione. «Questa donna va fermata» scrisse sintenticamente, ma efficacemente, il procuratore dlela Repubblica Alfredo Greco nella seconda richiesta di custodia cautelare. E, probabilmente, poche ore prima che la suora fuggisse in Perù e facesse perdere le sue tracce. Un mese fa l’incidente probatorio, con i bambini interrogati nell’aula del tribunale trasformata in sala giochi per «cristallizzare» le prove dell’accusa. Poi, nel pieno della seconda tranche dell’inchiesta con i sette indagati per il presunto giro di pedofilia, la delibera del consiglio comunale di Vallo: non denigrate il nostro paese.

Fonte: Il Mattino. 15 marzo 2009

Dopo suor Soledad, il cui processo è iniziato ieri, nella seconda tranche rinviati a giudizio altri quattro imputati fra cui due suore.

I nuovi rinvii a giudizio riguardano Aniello Labruna, muratore, abitante vicino all’asilo, perché “in concorso con Suor Soledad (la principale imputata) compiva atti sessuali con minorenni,Antonio Rinaldi, fotografo, per il reato di “”pornografia minorile”,Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola, due suore, consorelle di Suor Soledad, per reati di favoreggiamento. Prima udienza, il 21 gennaio prossimo. Il Gip aveva chiesto l’imputazione coatta perché “le dichiarazioni dei minori non erano frutto di una suggestione individuale o collettiva indotta loro dai genitori o dall’ambiente esterno”. Inoltre sempre per il Gip la stanza nella casa del muratore avrebbe ospitato incontri tra la suora e il muratore, in presenza dei bambini”. Ricordo che inizialmente la sola Suor Soledad era stata posta agli arresti per pericolo di fuga.Poi la liberazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Per altri 11 indagati, invece, era stata chiesta l’archiviazione.In seguito all’accoglimento dell’opposizione dei legali delle famiglie, si è avuta oggi notizia del rinvio a giudizio di quattro di quegli undici indagati. I bambini le cui famiglie hanno denunciato gli abusi all’asilo Paolo VI e che hanno sostenuto l’incidente probatorio, sono 27. All’epoca dei fatti, ovvero l’anno scolastico 2004/ 2005, avevano dai 3 ai 5 anni. Suor Soledad è difesa dall’avvocato Gulotta, consulente di parte il criminologo Francesco Bruno, che ha sostenuto la non credibilità dei bambini. Finora, però, i giudici hanno creduto fermamente alle dichiarazioni dei piccoli. Autore Roberta Lerici-www.bambinicoraggiosi.com 16 ottobre 2009 Riproduzione consentita esclusivamente con l’indicazione di autore e link attivo. Un articolo del mese di marzo 2009 che annunciava il ricorso contro l’archiviazione: Quattro nuovi imputati entrano a forza nel processo per gli abusi a Vallo della Lucania. E così, al fianco di Suor Soledad, rinviata a giudizio per abusi su 27 bambini, rigettata la richiesta di archiviazione proposta dal pm Alfredo Greco (di cui parlammo tempo fa, mostrandovi in dettaglio tutte le lacune evidenti in tale richiesta e segnalate poi dai legali delle famiglie dei bambini) per il secondo filone di indagine, il gip Marrone ha chiesto l’imputazione coatta anche per Aniello Lubrana (muratore che abita nei pressi della scuola), poiché “in concorso con Suor Soledad compiva atti sessuali con minorenni”, per Antonio Rinaldi (“pornografia minorile”) e per Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola, due consorelle di suor Soledad, “per il reato di favoreggiamento dato che avrebbero tentato di deviare le indagini in corso a carico della suora”. Il Gip ha poi evidenziato che non esistono elementi che “consentono di ritenere le dichiarazioni dei minori frutto di una suggestione individuale o collettiva indotta loro dai genitori o dall’ ambiente esterno (si consideri soltanto che la vicenda di Rignano Flaminio è esplosa a livello mediatico soltanto nell’anno 2007)». Per il Gip, la stanza nella casa del muratore avrebbe ospitato incontri tra la suora e il muratore, in presenza dei bambini che hanno perfino raccontato particolari, ed anche la registrazione filmata delle violenze sui bambini stessi che sarebbero contenute in quattro cd «rinvenuti nella stanza del figlio dell’imputato recanti la dicitura ”amplesso” e quella ancor più inquietante ”abusi”». Suor Soledad andrà processata a partire dal 15 ottobre prossimo. È prevedibile che con lei compariranno sul banco degli imputati anche il muratore e il giovane fotografo.

I racconti dei bambini di Rignano Flaminio

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“Una “scuola delle cose brutte” e ancora qualche ricordo delle “cose belle”. La parziale novità di un percorso “fuori dalla scuola” compiuto con gli occhi chiusi, forse con un “cappuccio sulla testa”. Ma per tutti i ricordi, le parole, la diagnosi è chiara: sono frutto di uno stress post trauma.” “Quando andavo all’asilo mi menavano, mi dicevano cose brutte oppure mi portavano dentro una casa che era di una maestra. Noi passavamo sotto la palestra poi c’erano delle scalette – si legge in un passaggio del corposo dossier consegnato stamane al gip di Tivoli Cecilia Angrisano – salivamo le scalette, uscivamo da una porta nera, attraversavamo la strada e arrivavamo a casa della maestra io e i miei amici”.

“…..Interrogata in merito a chi la picchiasse, la bambina più grande ha riferito che a “menarla erano tutti: Patrizia (potrebbe essere l’insegnante Patrizia Del Meglio, uno degli indagati, ndr), l’incappucciato, il marito e la maestra”. In merito alle modalità con cui veniva portata a casa della maestra, la bambina ha poi riferito: “C’era un bidello che si chiamava Giulio a cui le maestre chiedevano se erano pronte le scatole. Ci mettevano lì dentro. Arrivati in palestra uscivamo dalle scatole per andare dalle maestre cattive”.

(Fonte Il Tempo, Il Messaggero)

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“Dice che sono successe ‘cose bruttissime’ all’interno della scuola ‘brutta’, in una stanza in fondo, ma poi non vuole descriverle”. Così l’avvocato Franco Merlino, legale di parte civile, spiega l’andamento dell’incidente probatorio con la testimonianza della seconda bambina presunta vittima di abusi all’asilo ‘Olga Rovere’ di Rignano Flaminio, alle porte di Roma. I legali sono usciti dal Tribunale di Tivoli per pochi minuti poco prima delle 13, quando c’è stata una breve sospensione dell’udienza.

Come spiega l’avvocato, la bambina ha detto che all’interno della scuola sono accadute “cose faticose. Non le voglio raccontare, se le sente mia madre…”. Riguardo alle maestre, invece, la piccola ha finora detto che la sua si chiama Marisa. Poi avrebbe fatto riferimento al ‘gioco delle statue’.

(fonti “Il Tempo, Il Messaggero, La Stampa)

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I racconti che avrebbero reso alle psicologhe legali non si discosterebbero molto da quelli di altri due bambini. I minori, che presenterebbero traumi da abuso, faticando a entrare in particolari avrebbero raccontato storie di uomini incappucciati e di un gioco in cui avrebbero dovuto indovinare l’identità delle persone mascherate; una bambina avrebbe fatto riferimento a una «scuola nuova», dove alcuni partecipanti al «gioco dei sacchi neri e dei sacchi vuoti» sarebbero stati trasportati a opera di alcune «maestre cattive».

Una bimba avrebbe anche fatto i nomi di alcune insegnanti, non tutti riconducibili a quelli degli indagati. Un’altro minore avrebbe raccontato di dolori subiti alle parti intime.

Un bimbo ha raccontato:”Ci buttavano dentro l’acqua nudi e ci facevano male”, indicando le maestre “Patrizia, Silvana, Marisa, Anna, Marina e basta”. Gli ultimi due nomi non sono mai entrati nell’indagine, mentre i primi tre sembrano far riferimento alle insegnanti indagate….”Andavamo a casa loro con un pulmino giallo, come quello con cui vado a scuola a Santa Marinella” (fonti Il Tempo- Corriere della Sera)

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IL «CASTELLO CATTIVISSIMO» – Drammatico il racconto della bimba, che ha parlato «del castello cattivissimo» e ha mimato i giochi attraverso i quali si sarebbero materializzati gli abusi. Secondo chi ha assistito all’audizione, la piccola ha indicato una terza persona, di nome Maurizio, che partecipava ai giochi. Ovvero, il gioco della Tigre (guinzaglio messo al suo collo e giro intorno a un tavolo), il gioco della piscina (bambini, alcune maestre e Maurizio in una vasca) e il gioco del pelouche sulle proprie parti intime. «La bambina – ha riferito l’avvocato di parte civile Franco Merlino – ha mimato giochi che sono devastanti, con un impatto duro per chi ha ascoltato». «Ora gli abusi non sono più presunti – ha aggiunto – si è cercato di dimostrare il complotto contestando anche il lavoro dei periti, ma oggi sono stati descritti luoghi e persone specifici». «Faccio l’avvocato da quasi quarant’anni – ha commentato invece Carlo Taormina – ma la sofferenza trasmessa oggi da questa bambina mi ha veramente colpito».(Fonte APCOM E Quotidiani)

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“La bambina ha confermato quello che aveva già detto ai genitori ed al perito nel corso della prima parte dell’incidente probatorio. Ha indicato due persone che esercitavano gli abusi e le violenze subite”. Secondo indiscrezioni le due persone indicate dalla piccola sarebbero le maestre Patrizia Del Meglio e Marisa Pucci.

(Fonte APCOM, LA REPUBBLICA)

….noi abbiamo portato nostra figlia alla Olga Rovere all’inizio dell’anno scolastico 2006. Poi, dopo il blitz del Ris dell’ottobre, siamo rimasti scettici su quello che si prefigurava dall’inchiesta di cui parlavano tutti i giornali….«Chiaro che la difesa degli accusati faccia il suo gioco – dice – ma noi questo incubo lo viviamo sulla nostra pelle. Tutti i giorni. Ancora oggi mia figlia, che ha quattro anni, si alza dal letto come fosse in trance. Urla, spalanca gli occhi, grida “non mi toccare” guardando fisso il muro, grida “non voglio”, poi la prendiamo tra le braccia. Si calma, si sveglia. E per fortuna non si ricorda di quello che stava sognando. E’ così tutte le notti. E’ una voragine che per noi sembra non finire mai».“Ad un certo punto ha iniziato a disegnare croci capovolte, visi con occhi spalancati, organi sessuali. Una cosa inspiegabile per una bambina di quell’età».

.” Mia figlia fa giochi con il fratellino: il gioco del cagnolino, del guinzaglio. Giochi in cui lei fa la parte dell’adulto. Simula atti sessuali”

(Fonte Il Messaggero/intervista a un padre)

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(Fonte Oridnanza di custodia cautelare presente su vari siti internet)

SATANISMO:Oltre alle indicibile violenze sessuali, ai bambini veniva insegnato a disegnare croci capovolte, a bere sangue umano; una maestra bruciò di fronte a loro il Crocefisso urlando che Gesù era cattivo e il diavolo buono. Durante le riprese filmate, i violentatori indossavano maschere e corna da diavolo.

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“noi ai giardinetti .della scuola giochiamo così, anche noi ci tocchiamo le patatine come ci ha insegnato la signora, tocchiamo anche quella della signora con i disegni sulle braccia che è tutta nera e pelosa perché lei c’ha la bua e se gliela tocchiamo le passa”, “se noi la tocchiamo le passa la bua e non piange più”

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Maurizio e “faceva i giochi della scuola con loro”, “si mascherava da scoiattolo, mentre loro bambini si mascheravano da lupo”, “i bambini vestiti da lupo dovevano inseguire lo scoiattolo e morderlo senza fargli male”.Precisava che “Maurizio” era spogliato ed aveva un “pisello grosso”. Apre le mani per indicare che erano tanti gli adulti a partecipare ai “giochi”- la maestra Patrizia, la bidella Cristina, la maestra Marisa, Giovanni (che descrive come persona anziana con capelli bianchi), Maurizio (che indica nella persona che sta al benzinaio) e bambini più grandi di lei che facevano “giochi brutti”. Racconta che “i grandi” si tagliano con un coltello sulle braccia e il sangue che esce viene raccolto in un bicchiere e fatto bere ai bimbi, precisando che una volta l’aveva sputato perché era cattivo, ma “i grandi” l’avevano costretta a berlo. Descrive una casa grande dove si svolgevano questi giochi e due grandi cani…..

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“Continua in casa a simulare l’amplesso sessuale dicendo che è obbligata a farlo altrimenti la uccidono e che loro (i genitori) non possono guardare quel “gioco” insegnatole dalla maestra Patrizia e dagli altri “grandi”: è un segreto ed ha paura che li possano uccidere (“mamma queste cose le dico solo a te e deve rimanere un segreto da non dire neanche a papà altrimenti ci uccidono”, perché- così l’hanno minacciata -i “grandi” ripetendole che “loro sono tanti e forti”).”

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Racconta che durante i “giochi” Giovanni metteva “il pippo” nel sederino di C. e gli tappava la bocca con del nastro adesivo e metteva la musica ad alto volume, perché C. strillava tanto per il dolore.Chiede alla madre se quando era piccola il padre le avesse dato del latte dal “pippo”, poiché sia Giovanni che Maurizio le “davano il latte dal pippo” e la picchiavano perché non le piaceva e lo sputava.

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Mostra il “gioco del dottore” che facevano le bambine, mentre i maschietti guardavano: nuda sul letto e col termometro in mano allarga le gambe e, rivolgendosi al padre, dice “io vedi quel buco (indicando la vagina), ci infilavano il termometro lì più volte dentro e fuori e mi faceva tanto male”

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La bidella Cristina “quella con i tatuaggi”, la quale faceva delle fotografie; che il suo “gioco” non era quello “della patatina e del culetto”, bensì quello “della puntura” effettuato con un bastoncino di colore blu grande come una penna col quale, alla presenza di Cristina che fotografava, doveva penetrare una bambina di nome ….Riferiva che era costretto a “giocare”, altrimenti l’avrebbero picchiato sia Cristina che Patrizia ed, anzi, era stato picchiato più volte sulle parti intime. Aggiungeva che per l’esecuzione del “gioco” gli avevano regalato delle patatine.Diceva che spesso venivano denudati e fotografati da Cristina e Patrizia mentre “giocavano”. In una occasione Patrizia aveva chiesto a lui e … di toccarle “la patatina” e “le sisette”: …. l’aveva fatto, ma lui si era limitato a toccare “le sisette” perché “la patatina gli faceva schifo”.

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Il minore spiegava poi il “gioco dello scatolone” nel corso del quale veniva denudato completamente per essere toccato nelle parti intime dalle bambine. Precisava un episodio in cui le bambine e Patrizia erano nude nel bagno ed era entrata la maestra Marisa, chiedendo a Patrizia cosa stesse facendo, di rivestirsi e rivestire le bambine e, andando via, le aveva dato uno o schiaffo sulle parti intime.

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Indicava: i luoghi dove si svolgevano tali “giochi”, il bagno “l’aula in fondo al corridoio” della scuola; i bambini che vi partecipavano – x, y, z e t., con Patrizia e Cristina, cioè “la signora con i disegni sulle braccia, sul collo e sulla pancia e vicino la patatina”.

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Successivamente il minore riconosceva nell’inserviente di colore della benzina AGIP uno degli adulti che partecipava ai “giochi”, che chiamava Maurizio, precisando che portava degli anelli alla mano sinistra, ma prima portava i capelli lunghi col codino: in una casa – presenti Giovanni, Manuel, Emanuele e Patrizia – Maurizio era nudo e D. prendeva in bocca il suo “pisello”, mentre a lui era Patrizia che lo prendeva in bocca

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X., come Y., si apre pian piano a confidenze maggiori, raccontando che tali “giochi” si svolgevano a casa di Patrizia, dove c’era una stanza piena di giochi, tra cui un leone, una piscina a gonfiabile con disegni disney, siringhe, una siringa finta di colore blu grande come una penna, una macchina di colore rosso su cui saliva con Z., palloni, una pista per le macchinine, vari costumi teatrali da scoiattolo e da lupo, tuniche nere e bianche anche con cappucci che venivano indossate dagli adulti, catene di metallo e cerotti adoperati per la bocca. Parla di una macchina grande e blu parcheggiata a casa della maestra Patrizia.

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I “giochi”, però, si svolgevano anche a casa della maestra Marisa, di cui descrive una cucina grande con un tavolo lungo e un letto su cui nudi X., Y., Z. e T. fingevano di essere i figli, mentre Marisa cucinava fingendo di essere la madre.I bambini uscivano da scuola con la macchina fucsia di Patrizia ed una macchina bianca guidata da Giovanni.

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In questa casa: li spogliavano completamente e li lasciavano fuori, nudi e al freddo; poi li mettevano dentro secchi dell’immondizia e gli infilavano dei cappucci rossi con le corna; li facevano quindi rientrare in casa e “i grandi”, maestra Patrizia, Giovanni, Manuel, Emanuele e Cristian ed altri, si vestivano di nero e da diavolo con cappucci. La maestra Patrizia tagliava qualche capello a tutti i bambini, alcuni adulti se li mettevano in testa ed altri li mangiavano obbligando i bambini a guardare, poi prendevano una specie di ago o puntura e li pungevano sulle braccia o sulle gambe facendo uscire del sangue che veniva raccolto in un bicchiere rosso. La maestra Patrizia e gli altri adulti iniziavano a tagliarsi. Il sangue che usciva veniva raccolto nel bicchiere rosso e bevuto prima dai bambini, poi dagli adulti. La maestra Patrizia aveva incendiato un crocifisso e detto ai bambini che Gesù era cattivo e il diavolo buono. I “grandi” in questo gioco dicevano delle cose che il minore non capiva, ma lo spaventavano perché usavano toni diversi di voce. Al termine del “gioco”, i piccoli venivano lavati dalle maestre Patrizia e Marisa in una vasca sporca con acqua fredda e senza sapone, ed asciugati con un asciugamano.

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Racconta il minore di essere stato più volte picchiato e legato perché non voleva fare certe cose. Così descriveva la casa: una cucina bordeaux con rifiniture dorate, pareti rosse in qualche stanza ed una stanza per i “giochi”, delle scale che portano a un piano superiore dove dormivano gli amici di Cristian, l’uomo che aiutava la maestra Marisa a prelevarli da scuola e mettergli i cappottini.Ai giochi partecipava Giovanni, descritto nero – cioè scuro di carnagione – e che non parlava italiano, mentre l’altro Giovanni aveva i capelli di colore grigio, occhiali da vista e un naso accentuato con baffi.

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I genitori di X. (che non ha ancora compiuto quattro anni al momento della denuncia), iscritta e frequentante lo stesso asilo di Y. e, Z., che dal dicembre- gennaio sino alla primavera di quell’anno avevano più volte notato la figlia spogliarsi completamente e toccarsi nelle parti intime, oltre a porre insistenti domande alla madre sugli organi genitali maschili e femminili.La piccola presentava la vagina continuamente arrossata, richiedendo le cure della madre. ………………….Si sdraiava poi per terra a mostrare il gioco da lei stessa definito del “dito a punta” e cioè metteva il dito della manina come a infilarlo nella vagina, poi chiedeva un asciugamano perché doveva lavarsi “la patatina”, altrimenti – come le aveva insegnato Patrizia – si sarebbe visto che la “patatina” era arrossata.Nel corso del “gioco” interveniva il padre e V. gli chiedeva una macchina fotografica perché la “signora tatuata” – che chiamava Cristina, bidella della scuola – le faceva sempre le foto, sia quando era sola che insieme agli altri a giocare.Sempre durante la rappresentazione di questo “gioco”, il padre chiedeva alla minore se giocavano con degli oggetti ed, avutane risposta affermativa, mostrava una banana, chiedendole se avessero quella forma; come immediata reazione, la piccola la prendeva e con la bocca simulava il rumore di un motorino elettrico, dicendo che Patrizia glielo dava per succhiarlo, leccarlo, e inserirlo nella “patatina”. Aggiungeva che una volta Patrizia le aveva inserito quell’oggetto così a fondo nella “patatina” da farla piangere per il dolore. Raccontava che sarebbero stati picchiati se si fossero rifiutati di fare il “gioco” e che Patrizia regalava patatine ai bambini che facevano tutto.

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Anche V. riferiva che i “giochi” si svolgevano nel bagno della scuola, in una classe che chiamava “classe in fondo” e in giardino “quando giocavano a nascondino vicino la casetta”. Qui il “gioco” con le altre bambine consisteva nel riunire i bimbi, farli spogliare e toccare reciprocamente il seno (dice X. che una volta doveva toccare il seno di Y.), inserire il ditino nella vagina, e fare le stesse cose a Patrizia che stava anche lei nuda con loro. Accennava poi a due “giochi” – “il gioco degli specchi” e “il gioco _ dello scatolone”, durante i quali dovevano cantare una canzone.Confidava alla mamma: “Patrizia ci insegna e se qualcuno ci scopre dobbiamo dire che è stato il nostro papà ad insegnarci”.

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VX., in questo suo raccontare, continuava a cantare filastrocche e canzoncine con chiari riferimenti sessuali, ché alcune terminavano con le parole “Giovannino toccami la pipa..”Nel corso di successivi colloqui con la madre, la minore indicava tra gli oggetti adoperati per il “gioco” una “penna” usata dai maschietti e che lei e Y. dovevano usare nel “gioco di coppia”, e lei era penetrata da Y.; in questo “gioco di coppia” doveva spingere il pisellino di Y. e baciarlo.riferisce di un altro episodio verificatosi la sera 2 settembre, in cui Z. si era messa improvvisamente a piangere dicendo che aveva paura della “croce infuocata perché la maestra Patrizia l’accendeva sempre dicendo che Gesù era cattivo” (il padre precisava che verosimilmente la bambina era stata sollecitata dalla visione della croce illuminata del monte S. Oreste che sta di fronte la loro abitazione).

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La minore descriveva una casa dove nel corso dell’anno scolastico l’avevano portata con altri bambini per fare i “giochi”; con muri alti e molto distante dalla scuola, dove c’erano due grandi cani neri (precisando che la casa vicina questa era della nonna di uno dei “grandi” che partecipavano ai giochi). In questa casa, “i grandi” mettevano dei mantelli neri con cappucci rossi o neri, mentre ai bambini venivano sistemati dei cappelli con le corna. I “grandi” che partecipavano erano la maestra Patrizia, che non è la sua maestra, e la maestra Marisa, che iniziavano a tagliarsi sulle braccia con gli altri “grandi” presenti, mentre ai bambini si facevano dei buchi sulle mani con degli aghi molto. fini, facendo fuoriuscire del sangue che veniva mischiato e poi fatto bere ai bambini.In diverse occasioni, in questa casa, avevano lasciato lei e gli altri bimbi fuori al freddo, ed una volta l’avevano messa completamente nuda in un secchio dell’immondizia, da cui l’aveva tirata fuori la maestra Patrizia, lavandola con acqua fredda ed asciugandola con un asciugamano.Confida che Giovanni è il marito della maestra Patrizia e partecipava al “gioco della patatina” ed altri giochi e, intanto, mima al padre il gioco di Giovanni che le saliva sopra e le diceva che le prendeva la “patatina” e dopo usciva dal suo pene una “cremina dei bambini” indirizzatale sul petto e sul viso, il cui sapore non le piaceva; “nella casa di Giovanni” c’era uno stereo grigio che veniva messo ad alto volume ed ai bambini veniva applicato un cerotto sulla bocca per impedirgli di urlare.

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Racconta che quando esce da scuola va con la macchina della maestra Marisa, in casa della stessa maestra, “un posto lontano dove ci stanno i cuoricini per finta” e dove ad attenderli ci sono Patrizia e la bidella Cristina. Parla e, soprattutto, mostra chiaramente “il gioco del pipo infilato al culetto”, che le aveva provocato del sangue uscito “un pochino qua dalla pipetta … ma è uscito poco poco” “perché mi infila..o pipo..stretto”, “della penna nel pipino a Y.” che ha provocato il sangue e “gli hanno messo la crema”, che nella “pipina” le mettevano dentro “una cosa meravigliosa come la luce” e la penna o il dito, che però a lei non ha fatto male. Simula l’amplesso sessuale con Giovanni col ricorso ad un cuscino, come se andasse a cavallo, e fa i nomi dei compagni di gioco T-Y-Z . e altri , della maestra Marisa che la “strilla” se viene a sapere che ha parlato, poi canta delle strane canzoncine. Ed ancora il minore parlava con la madre di un gioco in cui adulti e bambini indossavano dei cappucci rossi e, siccome lui non voleva indossarlo, gli mettevano una maschera da lupo. Gli adulti così incappucciati si tagliavano i polsi e raccoglievano il sangue in un bicchiere, per farlo bere ai bambini, ma lui si rifiutava perché il sapore era cattivo. Durante questo gioco, la maestra Patrizia prendeva una siringa e gli toglieva la parte retrostante, vi versava del sangue dal bicchiere, rimetteva la parte posteriore e gli faceva una puntura sul polso.

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Nel “gioco delle banane”, invece, un signore indossava un abito con delle banane appese che i bambini dovevano mordere. In un terzo gioco un signore gli faceva delle punture al sedere e T. piangeva tanto perché si faceva molto male (quando racconta di questo gioco il bambino porta istintivamente le mani a protezione dell’orifizio anale e piange – vedi denuncia cit.).

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Il minore le aveva confidato che: la maestra. Patrizia “, era cattiva, picchiava i bambini”,_ ma lui non era mai stato picchiato “perché faceva il bravo”; nella scuola, durante l’orario di lezione, i bambini giocavano a coppie e, in particolare, lui con V., C. con V., D. con D.. Giocavano poi fuori dalla scuola, in luogo che raggiungevano – nella descrizione del minore – passando sotto “un coso nero” (facendo un gesto che lasciava intendere un corridoio), dove c’erano la maestra Patrizia e Cristina “quella con i capelli lunghi e il braccio scritto”.

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Al padre Z. esplicita lo stesso racconto, precisando che se non giocava, le facevano male e piangeva. Nel tempo la minore precisa che uscivano da scuola, da un’uscita dietro la scuola, con la macchina della maestra Marisa o con quella della maestra Patrizia, e andavano a “giocare” a casa della maestra Patrizia, che ha pavimenti rosa e una cucina in legno. Nella casa indica: una casetta da gioco tipo Chicco; una piscina in cui facevano il bagno; una stanza piena di giochi, tra cui una macchina rossa su cui saliva insieme a C.; una macchina rosa; una carrozzina giocattolo e altri vari giochi; macchine fotografiche e telecamere; una stanza con una radio e un palco dove facevano ballare le bambine nude in tutù.

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È del ……la denuncia dei genitori di D. – su analoghi fatti raccontati dalla minore di anni quattro. D. racconta che durante la scuola la maestra Patrizia, la bidella Patrizia e la bidella Cristina “tutta tatuata” prima portavano i bambini in bagno, chiudevano la porta, gli facevano togliere le mutandine o i pantaloni calati fino alle ginocchia, le facevano bagnare le mani giocando con l’acqua e poi le facevano toccare e si facevano toccare la vagina, scattando anche delle fotografie.

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Patrizia le facevano prendere in bocca una banana e volevano che la bambina la strofinasse sulla loro vagina, vi era anche una banana gonfiabile con la quale facevano giocare lei e le altre bambine; le avevano anche inserito in vagina un termometro per misurarle la febbre nel “gioco del dottore”. Rappresentano che il figlio MB. sin dall’inizio dell’anno non era tranquillo a scuola, spesso vomitava quando veniva accompagnato all’entrata e rientrava a casa piangendo senza motivo. I genitori attribuivano tale malessere alla gelosia del minore verso il fratellino appena nato. La situazione andava però peggiorando col tempo: pianti prolungati ed improvvisi, comportamenti aggressivi verso entrambi i genitori, incubi notturni nel corso dei quali iniziava a tremare e a sbarrare gli occhi, gridava “no, no” e faceva fatica a svegliarsi, singhiozzava e piangeva, si dimenava e dava pugni. E’ allora che la madre, avendo anche appreso degli altri bambini, cercava di parlargli, ma il figlio iniziava a dire al padre “papà, io non c’ero, ma Patrizia e Cristina hanno picchiato talmente tanto Z. con un’antenna che lui ha vomitato” e che, sempre a Z., avevano infilato un oggetto azzurro nel sederino; che Patrizia e Cristina avevano picchiato anche lui con un’antenna

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Aumentavano intanto gli episodi di pianti “strazianti” e il minore si limitava a dire “mamma, non posso dirti cosa mi hanno fatto Patrizia e Cristina..”; poi., pian piano raccontava ché Cristina preparava prima i maschietti e poi le femminucce ed ai maschietti tiravano su e giù il pisellino e, raccontando, mimava la scena di una masturbazione. Patrizia faceva ai maschietti un’iniezione sul pisellino e nel sedere con un’acqua “pizzicosa”. Patrizia si faceva spogliare dai bambini e dopo li picchiava. A questi episodi era presente e partecipe, nudo anche lui come gli altri, un signore di nome Giovanni amico di Patrizia. Descriveva una stanza – buia e che sta nella scuola vicino alle scalette – dove li conduceva Cristina. In questa stanza c’era uno stereo e i bambini dovevano ballare e, al termine, fare “il gioco della patatina”, che però non descriveva; sia lui che gli altri bambini venivano picchiati con calci ed una bacchetta di ferro.

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Riferiva inoltre di essere stato tante volte portato fuori da scuola con una macchina e con lo stereo ad alto volume dalla maestra Patrizia e dal Giovanni che indicherà ‘nel marito della maestra Patrizia, il quale si faceva chiamare Giovanni Gerry Scotti, e che descrive alto con baffi e occhiali.Nei giorni M. aggiungeva che andava a casa di Patrizia “passando da sotto, dove va il camion della mensa, uscendo da un cancelletto piccolo, dove li aspettava Maurizio con la macchina e li portava a casa di Patrizia e di Marisa”.

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Nella casa c’erano: un giardino; una camera con letto sul quale veniva messo insieme a X. e Y., legati con catene, mentre accendevano la radio ad alto volume; “c’erano dei diavoli” e “a loro bambini mettevano lo scotch in bocca”; “avevano siringhe con cui facevano punture in testa, un diavolo diceva rivolto agli altri “ora li devo scopare” .

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Anche B. -reagiva alla vista del benzinaio di colore che presta servizio al distributore AGIP di Rignano Flaminio, mettendosi improvvisamente alzato in ginocchio in auto e gridando spaventato “cattivo, cattivo”.Riferiva della presenza ai “giochi” della maestra Silvana, che descriveva bionda e un po’ grossa, molto cattiva; più volte infatti lo aveva picchiato nella parte interna sottostante della scuola.

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Dice che Patrizia in piscina era nuda e lei le ha visto “la pipa” “ce l’ha come te”(dice alla madre); che Cristina faceva le foto, ha un disegno sulla pancia l’ha fatto anche a loro, ma a V. l’ha poi levato con l’acqua, Cristina stava spogliata in piscina e li bagnava. Parla delle foto e con una macchina fotografica giocattolo simula l’azione. Descrive Patrizia che a suo dire è la bidella, racconta che col peluche giocavano “al culo e patata”.

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Confidava che i “giochini” erano iniziati con la maestra Marisa all’inizio della scuola. Passava a prenderli la bidella Cristina, dicendo che li avrebbe portati ad una festa e invece li conduceva nel locale sottostante della scuola, dove li attendeva anche la maestra Marisa.Riferiva di un episodio in cui li stavano portando via da scuola (i bambini), “verso le case per fare i giochi”, ma la maestra Patrizia aveva visto i Vigili Urbani e li aveva minacciati di restare zitti in macchina (che era rossa o bordeaux). Avevano infatti atteso che passassero i Vigili e poi si erano recati a Casa della maestra Patrizia, dove c’erano anche Giovanni Gerry Scotti, Cristina e Maurizio.

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Indicava un’altra casa in cui gli adulti li portavano dalla scuola, dove c’era un signore molto cattivo a nome Cristian; qui lo facevano mettere nudo in una gabbia e Patrizia lo picchiava. Gli adulti erano vestiti da prete con dei cappucci rossi e dicevano delle cose cattive su Dio. C’erano due cani. Lo avevano legato al letto con delle catene che facevano passare ai lati del letto (Mima la scena in cui è legato mani e piedi verso l’alto) e gli adulti intimavano di “scoparlo”, facendogli ingerire una cosa cattiva che puzzava ed era scura.

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“Sono puntuali i genitori – ciascuno con riguardo alla individua personalità del figlio – nel rappresentare quel “disagio” e quelle manifestazioni eccessive del bambino, all’inizio giustificate come “curiosità” verso la sfera sessuale tipiche dell’età; tuttavia, gli episodi nel tempo assumono connotazioni ben diverse, presuppongono una conoscenza non spiegabile, pongono forti interrogativi, necessitano di approfondimento”“…E non inficia in alcun modo l’affidabilità di tali denunce la circostanza che i genitori dei minori si siano a un certo punto confrontati su quanto andava emergendo, dal momento che ciascun minore frequenta la stessa scuola, fa riferimento agli altri suoi compagni ed alle maestre che fuori da quella scuola li conduce in orario scolastico e, proprio la gravità dei fatti di abuso e violenza riferiti, che ha quasi dell’incredibile, ben fa comprendere la necessità dell’approfondimento e verifica, del confronto fra genitori.Come rileverà anche il consulente del Pm, “l’incredulità ha accompagnato i genitori per lungo tempo.

Pino La Monica – organizza un corso su “chi è il bambino”

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In 15 al corso di Pinola Gazzetta di Reggio – 11 febbraio 2009 pagina 14 sezione: CRONACA

La scarcerazione ad opera del gip Riccardo Nerucci ha reso, da una ventina di giorni, Pino La Monica un uomo libero e l’educatore-attore 35enne sta cercando di tornare alla normalità, anche se non è facile trovare serenità a pochi giorni dall’inizio del processo a porte chiuse – fissato per il 18 febbraio – che lo vede accusato di abusi sessuali da nove ex allieve minorenni, nonché di detenzione di materiale pedopornografico. Una prima «mossa» di La Monica si sta già concretizzatando: 15 fra insegnanti (la maggior parte), genitori ed educatori hanno aderito al suo corso che inizierà ai primi di marzo (200 euro il costo). Negli incontri Pino parlerà di «Chi è il bambino», ma anche de «Il rapporto bambino adulto nella relazione educativa, familiare e nella dimensione ludica», concludendo con «L’età adolescenziale». L’idea di questo corso ha diviso le coscienze ma non è una novità, perché le contrapposizioni – anche piuttosto forti – stanno «marchiando» dall’inizio questa inchiesta dei carabinieri coordinata dal pm Maria Rita Pantani. Nel contempo prosegue l’attività del Comitato «Insieme per Pino» che in questi 11 mesi di battaglia legale non ha mai smesso di sostenere La Monica. Il Comitato ora intende anche dare un appoggio economico alla famiglia La Monica – lo staff difensivo, per di più cambiato totalmente in ottobre, ha dei costi non indifferenti per Pino – organizzando cene, concerti ed eventi da cui trarre le risorse per affrontare le spese legali. Inoltre le persone che da quasi un anno lavorano nel Comitato intendono costituire una «onlus» incentrata sulla tutela del rapporto educativo. Notizie che leggiamo nel blog che continuerà ad esistere «per seguire la vicenda processuale di Pino», ripristinando forum e newsletter. (t.s.)

Belgio: strage all’asilo nido.

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E’ salito il numero di vittime della strage in un asilo di Derdermonde, in Belgio, vicino la capitale Bruxelles. Agenzie di stampa locali riportano che un altro bambino sarebbe deceduto in ospedale dopo il suo ricovero. Il bilancio totale è dunque di quattro morti, tre bambini ed un adulto.Protagonista del folle gesto un uomo, trent’anni circa e probabilmente affetto da turbe mentali e che sembra sia padre proprio di uno dei piccoli da lui uccisi. Dipinto in volto di bianco e con gli occhi truccati di nero, una volta entrato nell’asilo con una scusa, si è introdotto in un’aula e si è avventato sui bimbi impugnando un coltello e ne ha feriti a morte tre. Altri venti sono pure stati feriti ma meno gravemente anche se una decina sono ancora trattenuti in ospedale. Con loro anche altre due donne. Nell’aggressione ne è rimasta ucciso anche una terza. L’uomo è poi fuggito in bicicletta ma è stato in seguito fermato ed arrestato circa un’ora e mezza dopo aver compiuto il massacro. Le autorità hanno fatto sapere che già in giornata l’assassino comparirà davanti ad un giudice mentre gli ospedali hanno reso pubbliche le foto dei bambini feriti per facilitare il loro ritrovamento da parte dei genitori.

Alessio Morrone – Barimia

Vittime dei preti pedofili: Istituto dei Sordomuti di Verona

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Noi vittime dei preti pedofili: l’Istituto dei Sordomuti e le 60 vittime di abusi sessuali
da L’espresso 22 gennaio 2009di Paolo Tessadri
Per oltre un secolo è stato un simbolo della carità della Chiesa: una scuola specializzata per garantire un futuro migliore ai bambini sordi e muti, sostenendoli negli studi e nell’inserimento al lavoro. L’Istituto Antonio Provolo di Verona ospitava i piccoli delle famiglie povere, figli di un Nord-est contadino dove il boom economico doveva ancora arrivare. Fino alla metà degli anni Ottanta è stato un modello internazionale, ma nel tetro edificio di Chievo, una costruzione a metà strada tra il seminario e il carcere, sarebbero avvenuti episodi terribili.

Solo oggi, rincuorati dalle parole di condanna pronunciate da papa Ratzinger contro i sacerdoti pedofili, decine di ex ospiti hanno trovato la forza per venire allo scoperto e denunciare la loro drammatica esperienza: “Preti e fratelli religiosi hanno abusato sessualmente di noi”. Un’accusa sottoscritta da oltre 60 persone, bambini e bambine che hanno vissuto nell’Istituto, e che ora scrivono: “Abbiamo superato la nostra paura e la nostra reticenza”.

Gli abusi di cui parlano sarebbero proseguiti per almeno trent’anni, fino al 1984. Sono pronti a elencare una lunga lista di vittime e testimoni, ma non possono più rivolgersi alla magistratura: tutti i reati sono ormai prescritti, cancellati dal tempo. I sordomuti che dichiarano di portarsi dentro questo dramma sostengono però di non essere interessati né alle condanne penali né ai risarcimenti economici. Loro, scrivono, vogliono evitare che altri corrano il rischio di subire le stesse violenze: una decina dei religiosi che accusano oggi sono anziani, ma restano ancora in servizio nell’Istituto, nelle sedi di Verona e di Chievo. Per questo, dopo essersi rivolti al vescovo di Verona e ai vertici del Provolo, 15 ex allievi hanno inviato a ‘L’espresso’ le testimonianze – scritte e filmate – della loro esperienza.

Documenti sconvolgenti, che potrebbero aprire uno squarcio su uno dei più gravi casi di pedofilia in Italia: gli episodi riguardano 25 religiosi, le vittime potrebbero essere almeno un centinaio.

La denuncia
Gli ex allievi, nonostante le difficoltà nell’udito e nella parola, sono riusciti a costruirsi un percorso di vita, portandosi dentro le tracce dell’orrore. Dopo l’esplosione dello scandalo statunitense che ha costretto la Chiesa a prendere atto del problema pedofilia, e la dura presa di posizione di papa Benedetto XVI anche loro hanno deciso di non nascondere più nulla. Si sono ritrovati nell’Associazione sordi Antonio Provolo e poi si sono rivolti alla curia e ai vertici dell’Istituto. Una delle ultime lettere l’hanno indirizzata a monsignor Giampietro Mazzoni, il vicario giudiziale, ossia il magistrato del Tribunale ecclesiastico della diocesi di Verona. È il 20 novembre 2008: “I sordi hanno deciso di far presente a Sua Eminenza il Vescovo quanto era loro accaduto. Nella stanza adibita a confessionale della chiesa di Santa Maria del Pianto dell’Istituto Provolo, alcuni preti approfittavano per farsi masturbare e palpare a loro volta da bambine e ragazze sorde (la porta era in quei momenti sempre chiusa a chiave).

I rapporti sodomitici avvenivano nel dormitorio, nelle camere dei preti e nei bagni sia all’Istituto Provolo di Verona che al Chievo e, durante il periodo delle colonie, a Villa Cervi di San Zeno di Montagna”. E ancora: “Come non bastasse, i bambini e ragazzi sordi venivano sottoposti a vessazioni, botte e bastonature. I sordi possono fare i nomi dei preti e dei fratelli laici coinvolti e dare testimonianza”. Seguono le firme: nome e cognome di 67 ex allievi.

Le storie
I protagonisti della denuncia citano un elenco di casi addirittura molto più lungo, che parte dagli anni Cinquanta. Descrivonomezzo secolo di sevizie, perfino sotto l’altare, in confessionale, dentro ai luoghi più sacri.
Quei bambini oggi hanno in media tra i 50 e i 70 anni: il più giovane compirà 41 anni fra pochi giorni. Qualcuno dice di essere stato seviziato fino quasi alla maggiore età. Gli abusi, raccontano, avvenivano anche in gruppo, sotto la doccia. Scene raccapriccianti, impresse nella loro memoria. Ricorda Giuseppe, che come tutti gli altri ha fornito a ‘L’espresso’ generalità complete: “Tre ragazzini e tre preti si masturbavano a vicenda sotto la doccia”. Ma la storia più angosciante è quella di Bruno, oggi sessantenne, che alla fine degli anni Cinquanta spiccava sugli altri bambini per i lineamenti angelici: era il ‘bello’ della sua classe. E solo ora tira fuori l’incubo che lo ha tormentato per tutta la vita: “Sono diventato sordo a otto anni, a nove frequentavo il Provolo che ho lasciato a 15 anni. Tre mesi dopo la mia entrata in istituto e fino al quindicesimo anno sono stato oggetto di attenzioni sessuali, sono stato sodomizzato e costretto a rapporti di ogni tipo dai seguenti preti e fratelli.”. Ha elencato 16 nomi. Nella lista anche un alto prelato, molto famoso a Verona: due sacerdoti del Provolo avrebbero accompagnato Bruno nel palazzo dell’ecclesiastico.

“Era il 1959, avevo 11 anni. Mi ha sodomizzato e preteso altri giochi sessuali. È stata un’esperienza terribile che mi ha procurato da adulto gravi problemi psicologici”.

Il dramma
Un altro ex allievo, Guido, dichiara di essere stato molestato da un prete: “Avveniva nella sua stanza all’ultimo piano. E mi costringeva a fare queste cose anche a Villa Cervi durante le colonie estive e al campeggio sul lago di Garda”. Carlo è rimasto all’istituto dai 7 ai 18 anni, e chiama in causa un altro sacerdote: “Mi costringeva spesso con punizioni (in ginocchio per ore in un angolo) e percosse (violenti schiaffi e bastonature) ad avere rapporti con lui”. Altre volte si sarebbe trattato di bacchettate sulle mani, mentre di notte “nello stanzone dove dormivo con altri sordi spesso mi svegliava per portarmi nei bagni dove mi sodomizzava o si faceva masturbare. Non ho mai dimenticato”.
Sono racconti simili. Tragedie vissute da bambini di famiglie povere, colpiti dalla sordità e poi finiti tra le mura dell’istituto; drammi tenuti dentro per decenni. Ricostruisce Ermanno: “La violenza è avvenuta nei bagni e nelle stanze dell’Istituto Provolo e anche nella chiesa adiacente”. “Se rifiutavo minacciava di darmi un brutto voto in condotta, questi fatti mi tornano sempre in mente”, scrive un altro. Giuseppe qualche volta a Verona incontra il suo violentatore, “ancora oggi quando lo vedo provo molto disagio. Non sono mai riuscito a dimenticare”. Stando alle denunce, le vittime erano soprattutto ragazzini. Ma ci sono anche episodi testimoniati da bambine. Lina ora ha cinquant’anni, è rimasta “all’istituto per sordomuti dai sei ai 17 anni. A tredici anni nella chiesa, durante la confessione faccia a faccia (senza grata), il sacerdote mi ha toccata il seno più volte. Ricordo bene il suo nome. Io mi sono spaventata moltissimo e da allora non mi sono più confessata”. Giovanna scrive che un altro prete “ha tirato fuori il membro e voleva che lo toccassi”. E per molte ragazzine i fatti avvenivano nella chiesa dell’istituto, sotto l’altare. A qualcuna, però, è andata molto peggio.

Gli esposti
Oggi l’Istituto Antonio Provolo ha cambiato completamente struttura e missione. Le iniziative per il sostegno ai sordomuti sono state ridimensionate e vengono finanziate anche dalla Regione Veneto. Adesso l’attività principale è il Centro educativo e di formazione professionale, gestito interamente da laici, che offre corsi d’avanguardia per giovani ed è specializzato nella riqualificazione di disoccupati. Al vertice di tutto ci sono sempre i religiosi della Congregazione della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti, che dipendono direttamente dalla Santa Sede. Alla Congregazione si sono rivolti gli ex allievi chiedendo l’allontanamento dei sacerdoti chiamati in causa.Secondo la loro associazione, “c’è già stata più di un’ammissione di colpa”. La più importante risale al 2006, quando don Danilo Corradi, superiore generale dell’Istituto Provolo, avrebbe incontrato più di 50 ex allievi. Secondo l’Associazione, il superiore a nome dell’Istituto avrebbe chiesto 12 volte scusa per gli abusi commessi dagli altri religiosi. I testimoni ricostruiscono una riunione dai toni drammatici: don Corradi che stringe il capo fra le mani, suda, chiede perdono, s’inginocchia. Ma i sordomuti avrebbero preteso l’allontanamento dei sacerdoti coinvolti, senza ottenerlo. A ‘L’espresso’ don Danilo Corradi fornisce una versione diversa: “Ho sentito qualcosa, ma io sono arrivato nel 2003 e di quello che è successo prima non so. Non rispondo alle accuse, non so chi le faccia: risponderemo dopo aver letto l’articolo”.

La Curia
Da quasi due anni gli ex allievi si sono appellati anche alla Curia di Verona, informandola nel corso di più incontri. Il presidente della Associazione sordi Antonio Provolo, Giorgio Dalla Bernardina, ne elenca tre: a uno hanno preso parte 52 persone. E scrive al vescovo: “Nonostante i nostri incontri in Curia durante i quali abbiamo fatto presente anche e soprattutto gli atti di pedofilia e gli abusi sessuali subiti dai sordomuti durante la permanenza all’istituto, a oggi non ci è stata data alcuna risposta”. L’ultima lettera è dell’8 dicembre 2008. Pochi mesi prima, a settembre, avevano fatto l’ennesimo tentativo, inviando una raccomandata al vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti. Senza risposta, “nonostante le sue rassicurazioni e promesse di intervento”. Questa missiva è stata firmata da tre associazioni di sordi: Associazione Sordi Antonio Provolo, Associazione non udenti Provolo, Associazione sordi Basso Veronese-Legnago.
Il vescovo, interpellato da ‘L’espresso’, replica con una nota scritta: “Il Provolo è una congregazione religiosa. In quanto tale è di diritto pontificio e perciò sotto la giurisdizione del Dicastero dei religiosi. La diocesi di Verona, sul cui territorio è sorta la Congregazione, apprezza l’opera di carattere sociale da essa svolta in favore dei sordomuti”. Poi monsignor Giuseppe Zenti entra nel merito: “Per quanto attiene l’accusa di eventuale pedofilia, rivolta a preti e fratelli laici, che risalirebbe ad alcune decine di anni fa, la diocesi di Verona è del tutto all’oscuro. A me fecero cenno del problema alcuni di una Associazione legata al Provolo, ma come ricatto rispetto a due richieste di carattere economico, nell’eventualità che non fossero esaudite. Tuttavia a me non rivolsero alcuna accusa circostanziata riferita a persone concrete, ma unicamente accuse di carattere generico. Non ho altro da aggiungere se non l’impegno a seguire in tutto e per tutto le indicazioni contenute nel codice di diritto canonico e nelle successive prese di posizione della Santa Sede. Nella speranza che presto sia raggiunto l’obiettivo di conoscere la verità dei fatti”.

L’Associazione sordi Antonio Provolo risponde al vescovo negando qualunque ricatto o interesse economico: “Gli abbiamo soltanto fatto presente i problemi, noi vogliamo che quei sacerdoti vengano allontanati perché quello che hanno fatto a noi non accada ad altri”.

(L’espresso 22 gennaio 2009)

Pedofilia: avvocato di Bolzano arrestato per abusi sui nipotini

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BOLZANO. Un noto avvocato bolzanino di 48 anni è stato arrestato dalla Polizia giudiziaria su disposizione del giudice delle indagini preliminari di Rovereto.

L’uomo è accusato di violenza sessuale ai danni di due nipotini, una bambina di 8 anni e un bambino di 4. La misura restrittiva è stata disposta a seguito della denuncia del padre dei piccoli nonché fratello dell’avvocato. Le violenze si sarebbero consumate ad Arco (Tn), negli ultimi tre anni, nell’abitazione dell’uomo e in una seconda casa di montagna sul Garda. La bambina è stata ascoltata presso il Tribunale dei minorenni di Trento, alla presenza di una psicologa e di due agenti donne della sezione di polizia giudiziaria. La minore ha raccontato che lo zio l’avrebbe fatta spogliare, baciandola, toccandola nelle parti intime, penetrandola con oggetti e fotografandola. La stessa, inoltre, avrebbe ricevuto numerose minacce se avesse raccontato l’accaduto. Non è stato ascoltato, invece, il fratellino minore. L’uomo si trova ora nel carcere di Rovereto a disposizione del procuratore capo Rodrigo Merlo, titolare della delicata indagine, ed è difeso dall’avvocato Maria Carmela Carriere, presidente dell’ordine degli avvocati dell’Alto Adige.

Fonte Pupia 02.08.2008

 

Pedofilia Bologna: arresto commesso della procura per abusi su minore.

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Bologna, (Adnkronos) – Si complica la posizione di S.M., il commesso cinquantenne della Procura di Bologna, nonche’ catechista in una parrocchia del capoluogo emiliano, arrestato circa tre settimane fa con le pesanti accuse di violenza sessuale, detenzione di foto pedopornografiche e violenza privata. Dagli accertamenti tecnici effettuati dalla polizia postale e’ emerso che l’uomo ha conosciuto in chat altri ragazzini di eta’ inferiore ai 16 anni. Durante le conversazioni sarebbero stati toccati spesso argomenti a sfondo sessuale e a loro offriva ospitalita’ a casa sua.

Ora spetta al Nucleo di polizia giudiziaria della polizia presso la Procura capire se l’uomo chattava solamente con loro oppure li ha incontrati. Per la prossima settimana e’ in programma un incontro degli investigatori, coordinati dal pm Luigi Persico, per sentire questi ragazzini. Il prossimo 25 giugno davanti al gip Bruno Perla verra’ sentito con la formula dell’incidente probatorio, cosi’ come chiesto dalla Procura, il ragazzino di 15 anni che ha accusato l’uomo ora in carcere.

Il pm aveva chiesto anche che durante l’incidente probatorio venisse eseguita una perizia psicologica sul giovane da affidare a un esperto dell’eta’ evolutiva. Ma il gip decidera’ dopo l’incidente probatorio. Il 15enne e’ un ragazzo straniero adottato da una famiglia bolognese e da anni ormai residente in Italia. L’uomo lo aveva conosciuto nella parrocchia del centro di Bologna dove in passato insegnava catechismo e dove ultimamente ricopriva cariche laiche e gli aveva fatto anche da padrino alla cresima.

Con la famiglia del giovane pero’ il rapporto si era incrinato. Nel dicembre del 2006 il padre presento’ un esposto in cui veniva ipotizzato il tentativo di sottrazione di minore. Quella denuncia non ebbe seguito e nel giro di breve tempo il pm Persico e il procuratore capo Di Nicola chiesero e ottennero l’archiviazione. Diffidarono pero’ il dipendente dal frequentare il giovane. Un provvedimento a cui l’uomo non ha ottemperato e che la famiglia ha scoperto all’inizio di maggio di quest’anno.

Una sera il quindicenne e’ rientrato tardi a casa e ha raccontato ai suoi familiari molto arrabbiati di essere rimasto fino a quell’ora a casa del cinquantenne che gli aveva mostrato alcune foto con uomini nudi che aveva sul suo computer. Il padre ha cosi’ presentato un altro esposto alla sezione di polizia giudiziaria e sono partite le indagini che nel giro di tre settimane hanno portato alla custodia cautelare in carcere.

Ad aggravare la sua posizione e’ stato ovviamente il racconto dell’adolescente che agli inquirenti ha spiegato di avere avuto rapporti sessuali con l’uomo. Rapporti che alcune volte erano imposti e altre facilitati da regalini come ricariche telefoniche, soldi e altri oggetti che S.M. dava al giovane. Agli atti risulta che in qualche circostanza l’uomo ha minacciato il ragazzo ingiungendogli di non raccontare nulla di quanto accadeva perche’, con le sue conoscenze, avrebbe anche potuto rispedirlo nell’orfanotrofio da cui qualche anno prima era stato preso in adozione. 19.giugno.2008

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